
La stabilizzazione e Il malessere
dopo il frenetico e a volte caotico “fare” dell’inizio le priorità sono soddisfatte e adempiute
-avete una casa ed è più o meno a posto
-avete trovato un lavoro o avete iniziato a lavorare in quello che vi aspettava
-i figli (se ne avete) iniziano la scuola
-vi siete guardati un po’ intorno per identificare i luoghi ed i servizi circostanti
-le giornate sembrano poter avere un ritmo più lento, consueto, state costruendo la vostra nuova routine.
TUTTAVIA…
Proprio nel momento in cui state prevedendo di poter entrare finalmente in una condizione di maggior riposo fisico e psico-fisico, di iniziare ad avere più tempo e spazio per voi, iniziare a godervi la nuova vita che avete, con tanta fatica, predisposta, vi rendete conto che non ci riuscite.
All’inizio non ci fate caso, come se ci fosse una risoluta ostinazione nel non tener conto del disagio e del malessere.
Ansia, depressione, inquietudine, un senso diffuso di estraneità,
o una grande fatica ad assolvere il quotidiano, disturbi del sonno, diffusa insofferenza generalizzata, improvviso senso di insoddisfazione.
Le manifestazioni dell’insorgente malessere possono essere le più diverse.
Spesso si tratta di un indifferenziato senso di perdita, di inadeguatezza , tutto sembra diventare sempre più difficile e faticoso, a volte anche inutile e privo di senso.
Ma al di sopra di tutto, l’euforia, l’ottimismo, l’entusiasmo, la grande energia fiduciosa e vitale che vi aveva sostenuto fino a quel momento sembra appartenere al passato.

Questo cambio del tono dell’umore, è talvolta abbastanza repentino, altre ancora si inizia ad avvertire piano piano dopo qualche mese, ma soprattutto, non sembra essere conseguente ad avvenimenti o circostanze che ovviamente potrebbero giustificarlo.
Stiamo quindi facendo riferimento ad una situazione in cui le aspettative sono state realizzate e tutta la difficile fase organizzativa conclusa in modo soddisfacente.
Non vi è sembrato e non vi sembra in questo momento di dover fronteggiare particolari criticità emotive, personali. relazionali, linguistiche o di adattamento culturale.
Vi rendete anche conto, ragionevolmente, che, per quanto riguarda queste ultime, ci vuole tempo, più tempo, quello necessario per riuscire ad “integrarvi”.
Quello che vi sta accadendo, non può essere descritto attraverso una “generalizzazione”, è infatti il precipitato di infinite variabili che ogni persona interpreta, vive, declina in modo assolutamente soggettivo e personale.
Si tratta di un’esperienza intima e profonda che assume per ciascuno ritmi e intensità diverse.
Per alcuni anche estrema e dolorosa, per altri più sfumata e inintelligibile , ma non per questo meno insidiosa.
Altri ancora sembrano addirittura non rendersi conto di quanto stanno vivendo.
Ci sono alcune cose che tuttavia sarebbe importante riconoscere.
Tutti noi sappiamo quanto sia difficile ammettere l’insorgere di un imprevisto stato di malessere, quanto possa essere vissuto come una debolezza o sconfitta personale, e che possa creare allarme e preoccupazione il sentirsi così improvvisamente e imprevedibilmente fragili in un momento peraltro, tanto impegnativo della propria vita.
Per questo attraversamento inevitabile sono state individuate, di volta in volta, molte, spesso suggestive, definizioni :
shock culturale- blues dell’expat -lutto migratorio……
E’ infatti di LUTTO che bisogna parlare.
Il lutto è relazionato ad una perdita, a qualsiasi perdita.
Il cambiamento che state vivendo e che investe l’intero contesto della vostra vita, ha comportato perdite ingenti.
Siete lontani dalle vostre “reti” familiari ed amicali, quelle che sembravano così scontate, così a disposizione quando ne avevate bisogno, quando ogni carico emotivo veniva percepito come più tollerabile dalla possibilità della condivisione.
Oggi quanta fatica, disorientamento e solitudine nell’affrontare le giornate, separati dagli amici, dalle famiglie, dalle abitudini e routine quotidiane anche di percorsi e luoghi.
All’inizio sembrava solo un arrivederci, ora iniziate a diventare consapevoli che “avete rinunciato”, interrotto la rassicurante continuità del vostro quotidiano e delle vostre relazioni.
Non ci sono reti che siano lì pronte se cadete.
Avete paura di restare soli, di non partecipare più alle storie delle quali eravate parte.
La lontananza fisica amplifica la consapevolezza della vostra assenza, vi sollecita i ricordi, il rimpianto, la nostalgia.
E poi, , probabilmente, una sorta di ottimistica fiducia nella possibilità che abbiamo ormai di essere “sempre connessi”, vi ha fatto ritenere che la distanza potesse essere annullata o negata, che ovunque sareste stati in grado, in modo immediato e semplice, di restare in contatto senza distanze e tempi.
Sedotti da una sorta di fiducioso ottimismo : MAI PIU’ SOLI !
Questo probabilmente ha reso molto più difficile essere adeguatamente preparati alle separazioni.
Non è un retorico o nostalgico rimando al passato, ma, probabilmente un dato di fatto, che, in un passato neanche troppo remoto, quando non era a disposizione la tecnologia che sembra aver accorciato distanze e tempi, chi faceva la scelta di partire, di andare a vivere in un altro paese, riusciva a vivere con maggiore acuta consapevolezza emotiva il momento delle separazioni…..da tutti e da tutto.
Forse partiva con più apprensioni, con più tristezza, forse tutto appariva meno facile e più doloroso proprio nel momento dell’andarsene.

Ma per voi è iniziato dopo, sta iniziando ora e ci sono momenti nei quali vi sembra di essere invischiati in un malessere quotidiano che sottrae energie, priva di valore la vita di ogni giorno, rischia di vanificare tutto l’impegno profuso per arrivare fin dove siete arrivati.
Tutto sembra compromesso dall’ansia e dalla paura che il vostro progetto di vita sia stato un errore.
E’ importante precisare che l’esperienza dell’espatrio costituisce molto frequentemente un fattore di rischio di destabilizzazione nella vita delle persone e dei nuclei familiari.
Il malessere che vi affatica così tanto e, indubbiamente , vi crea allarme, è una fase, una inevitabile “fase evolutiva” da attraversare e risolvere, non è una malattia, non è una patologia, è conseguente alla condizione di maggiore vulnerabilità generata dalle vostre attuali circostanze di vita oltre che, talvolta aggravata da vostre contingenti e personali situazioni problematiche.
Per ciascuno ovviamente si manifesta in modo diverso e con diverse tonalità e intensità e questo perché ogni individuo lo vive e percepisce in funzione della propria storia, in modo assolutamente soggettivo.